mercoledì 17 marzo 2010

scritti filosofici

Riflessioni personali post combattimento di Mattia Macchelli un argomento interessante riguardante ciò che dall esterno non appare ma nei combattimenti è sempre presente la strategia e la personalità
Questo estratto è logicamente soggettivo e si può essere daccordo o no ma penso che comunque offra molti punti degni di approfondimento.



“In generale, quando sai che il combattimento sarà facile, lascia la prima mossa all'avversario. Quando si preannuncia pericoloso, consideralo un compito soltanto tuo, anche se dovrai fare centinaia di tentativi.”Shiba Yoshimasa (1349-1410)

Riporto questa riflessione come esempio di come lo studio strategico possa essere applicato ad una situazione reale. Ho applicato questo insegnamento nell'ultimo combattimento. Non so dire se l'esito sia dipeso da questa strategia applicata, o se sarebbe andata diversamente senza applicarla. Per questo spiegherò cos'ho pensato, applicato, imparato; questo solo per capire.Innanzitutto sapevo chi era il mio avversario, sapevo che era più pesante, più esperto e quindi più sicuro di sé. Io invece avevo il timore che se avessi sbagliato anche solo una cosa quella mi avrebbe portato alla sconfitta. Accettato di perdere ancor prima di combattere, decisi perlomeno di fare spettacolo per il pubblico presente. Avrei fatto il mio gioco, anzi l'avrei imposto, senza preoccuparmi di perdere, dei punti e delle posizioni. Se insomma dovevo combattere e perdere non l'avrei fatto preoccupandomi del regolamento del torneo, quanto piuttosto mi sarei preoccupato di imporre il mio gioco: uno show. Così fin dal principio ho iniziato ad attaccare freneticamente, a provare, a infastidire, muovermi, muoverlo, ed il tutto senza l'intenzione di concludere gli attacchi. Il mio scopo era tenerlo impegnato, toccata e fuga. Questo in effetti è bastato a tenere il mio avversario occupato a difendersi da indecisi attacchi, inn ocui, ma non per questo ignorabili. Senza volerlo il mio avversario si è trovato dall'essere occupato all'essere insicuro. Ogni blando attacco, senza volerlo, era più insidioso del precedente, anche se nessuno arrivava a conclusione. Però, sicuro di poter difendere quegli attacchi, il mio avversario non si era preoccupato di attaccare: era troppo occupato a staccare le prese e a sciogliere le dita che io intrecciavo. Il tempo passa e senza accorgersene il mio avversario perde sicurezza in piedi. Io non l'ho mai avuta, ma l'importante è stato non dare a lui questa impressione. Insicuro in piedi cerca il gioco a terra. Qui mi sento più sicuro: basta poco per tenere l'avversario a terra e controllarlo. L'idea era però quella di continuare a infastidirlo. Dargli qualcosa senza rischiare troppo e poi toglierlo, tessere trappole. Insomma ho continuato a fare quello che facevo in piedi: attaccare freneticamente, frustrare, indurre all'insi c urezza e poi all'errore. Ancora in piedi e in terra continuando a imporre il proprio gioco, e prima o poi l'errore arriva. E senza volerlo si inizia a accumulare qualche punto, e così sono tornato a considerare le regole del torneo: il tempo, i punti, le posizioni. Qui finisce tutto. Conclusioni:1.Quel che ha scritto Yoshimasa va seguito;2.considerando come ha combattuto il mio avversario aggiungerei: “se sai che il combattimento sarà facile, lascia la prima mossa all'avversario, ma quella soltanto”;3.il jiu jitsu è un gioco basato sugli errori: assicurati di evitarli, provocarli, sfuggirli, coglierli;4.dopo il gioco viene la competizione. Ognuna con le sue regole e i suoi punteggi, preoccupatene al momento opportuno.

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